«La gente ti chiede: come ci sei finita? In realtà, quello che vogliono sapere è se c’è qualche probabilità che capiti anche a loro. Non posso rispondere alla domanda sottintesa. Posso solo dire che è facile.»[1]
Non mi capita spesso di vedere prima il film – bellissimo, emozionante, coinvolgente e che consiglio vivamente! – e poi cercare il libro dal quale è tratto, in questo caso però sarebbe stato difficile scovarlo, perché “La ragazza interrotta” è stato per anni nel reparto di psicologia, essendo più che un romanzo, un vero e proprio diario dell’autrice e dei suoi anni interrotti. Quasi ironico che sia stato frainteso come genere, perché è esattamente ciò che è successo alla protagonista. A diciassette anni Susanna Kaysen, dopo una sommaria visita di un medico che non aveva mai visto prima, viene spedita in una clinica psichiatrica. Passerà i due anni successivi nel reparto adolescenti del McLean Hospital, noto per i suoi pazienti famosi (Sylvia Plath, James Taylor e Ray Charles, tra gli altri) e per i metodi di cura all’avanguardia. La diagnosi (sommaria!) è disturbo della personalità borderline.
Sarò io ipocondriaca ma dopo aver letto la definizione mi sono cominciata a preoccupare!
Ho visto il film, e ne sono rimasta incantata, così ho cercato e trovato il libro, l’ho letto in due giorni seduta accanto al termosifone con una tisana allo zenzero e goji e una copertina. A terra, non lo so perché, ma mi sentivo più a mio agio nonostante il gelo.
La differenza fondamentale che ho riscontrato fra libro e film è l’intensità emotiva, ci si aspetterebbe che sia più raffinata e palese nel libro, invece devo ammettere che sono rimasta stupita dal distacco col quale Susanna ci racconta dei suoi anni in ospedale psichiatrico.
È come se se ne fosse del tutto alienata, quasi non fosse successo davvero a lei, e questo secondo me rende il racconto ancora più profondo e inquietante. Sarebbe facile lasciarsi trascinare dal dolore di una diagnosi affrettata che spezza il ritmo di una vita agli inizi, ma quando una persona te lo racconta con tanta freddezza capisci che forse così sbagliata non era, che forse un disagio c’era e c’è, che a volte serve vedere chi sta peggio per rendersi conto di stare bene.

Vi siete mai sentiti persi?
Avete mai avuto la sensazione di essere sbagliati?
Questo basta per diagnosticare un disturbo?
Non è forse l’umanità destinata alla perpetua insoddisfazione?
Chi sono i veri pazzi, allora?
[2]
Quello che mi ha lasciato questo libro è la voglia di andare avanti! Di superare le piccole e grandi difficoltà della vita, perché basta davvero un piccolo errore per interromperla.
Consiglio questa lettura (e la visione del film) a chi ha paura, a chi ha angoscia, a chi si sente interrotto, perché capirà che non è solo e che nonostante tutto, è fortunato.
L’ha ripubblicato su Thr0ugh The Mirr0re ha commentato:
Sarò io ipocondriaca ma dopo aver letto la definizione mi sono cominciata a preoccupare!
Ho visto il film, e ne sono rimasta incantata, così ho cercato e trovato il libro, l’ho letto in due giorni seduta accanto al termosifone con una tisana allo zenzero e goji e una copertina. A terra, non lo so perché, ma mi sentivo più a mio agio nonostante il gelo.
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