“Tutte le VIE portano a Roma, le PIAZZE no”

 

Sono i primi giorni di settembre, l’estate è quasi giunta al termine e così anche il mio lavoro di animatore per bambini in un centro estivo. Dopo mesi di caldo devastante, incendi, siccità ed altre piaghe d’Egitto che solo Roma d’estate sa regalare, finalmente arriva la pioggia… e decide di farlo quando il centro estivo è ancora in piena attività.

Risultati immagini per so hot gifPigiati nell’unico spazio coperto disponibile, i pochi bambini rimasti hanno bisogno di un’attività che li tenga impegnati prima che perdano la pazienza e devastino l’intera struttura.

I più piccoli vengono subito distratti con una scatola di colori e scopriamo così che per i giovanissimi millennials disegnare e fare aeroplanini di carta non è ancora obsoleto. La fascia 6-8 invece, già organizzata con gameboy connessi fra loro e carte di Yugi-Oh, proclama la propria indipendenza. Rimangono da intrattenere gli over 9, pubblico difficile per definizione, nella fase “sono troppo grande per disegni e tornei di carte” e pericolosamente vicini al morbo dell’adolescenza.

Così, dopo aver esaurito le mie cartucce con un paio di crittogrammi e uno scalcinato cruciverba, decido di tentare una strategia vecchia scuola: comincio a raccontare storie. Non favole, sia chiaro, o mi avrebbero lapidato sul posto, ma episodi veri, accaduti a me e ai miei amici quando eravamo al liceo (diamine! Ancora non mi abituo a usare questa frase al passato). Mi rendo conto così che per la mia relativamente giovane età ne ho parecchie di storie da raccontare!

Comincio con l’episodio che ha di fatto formato il gruppo di amici con cui ancora mi vedo ogni settimana e sul quale posso contare quando sono in difficoltà. Ritorno quindi con la mente al primo anno di liceo, nel maggio del 2007, uno dei pochi ad essere caldo come l’ultimo appena trascorso.

Risultati immagini per ted gifIo e i miei (non ancora) migliori amici Francesco e Daniele, reduci da una gita scolastica in centro, di cui ad essere sincero non ricordo più un’acca, decidiamo di andare a pranzo da McDonald (già, eravamo in quella fase). Il più vicino era quello dirimpetto al pantheon (non googlatelo, è chiuso da un pezzo), così, dopo aver riempito lo stomaco di cibo spazzatura come solo gli adolescenti sanno fare, ci incamminiamo sulla via del ritorno.

In questo punto del racconto i bambini rimangono sbalorditi da una rivelazione: nel 2007 i cellulari non accedevano a internet, o meglio lo facevano, ma la rete costava al minuto quanto una corsa in taxi, perciò per trovare la metro Google Maps non era un’opzione. Dovevamo affidarci solo al nostro (inesistente) senso dell’orientamento e alle indicazioni dei confusi e contraddittori cartelli stradali.

Risultati immagini per where am i gifDa ragazzino di periferia, non appena vedo un cartello che indica piazza Navona, esclamo “è quella la direzione, no? È una piazza importante del centro! Tutte le piazze importanti del centro hanno una metro, giusto?” Sbagliato. Ma in questo caso del tutto irrilevante, perché presi come siamo a fare le nostre chiacchierate intellettuali su Star Wars: Battlefront, riusciamo, con modalità che ancora non mi sono chiare, a mancare piazza Navona e cominciamo a girare in tondo per vicoli e vicoletti che nemmeno volendo saprei ripercorrere.

Dopo quaranta minuti non solo non avvistiamo piazza Navona, ma ci ritroviamo sul lungotevere. In seguito avremmo scoperto di essere a pochi passi dal punto di partenza, ma a noi, cresciuti sulle sponde dell’Aniene, sembrava di essere finiti nel Burkina Faso. In preda al panico, raggiungiamo la prima fermata dell’autobus disponibile, e… eureka! Una delle fermate porta il nome “Cavour”, non una fermata dell’esotica e sconosciuta metro A (che in ogni caso non ha mai avuto una fermata a piazza Navona), ma della nostra fidata metro B.

Risultati immagini per where am i gifSaltiamo sull’autobus senza pensarci due volte ed è solo a metà del tragitto che ci accorgiamo che le tre lettere che precedono “Cavour” sulla scritta non compongono la parola “via”, ma “p.za”. Quindi non siamo diretti a Via Cavour, sede della metro B, ma a Piazza Cavour, che per qualche oscura ragione si trova a chilometri e chilometri di distanza dalla sua omonima e di certo non è sulla direttrice della metro B. Come buona parte dei turisti che visitano Roma, e credetemi, chi vive in periferia ne sa anche meno dei turisti, diamo per scontato che la via e la piazza siano vicine e, sotto il sole cocente delle 14, coadiuvato da un livello di umidità difficile da trovare anche nelle giungle del Vietnam, scendiamo dall’autobus in cerca della metro. La vista del Palazzo di Giustizia un po’ ci disorienta, ma tutto sommato per noi Roma non è che un puzzle di fermate della metro B circondate da monumenti e palazzi, non abbiamo idea di come i pezzi si incastrino tra di loro.

imagesCominciamo così a vagare in tondo per la piazza come anime in pena, leggendo ad uno ad uno i nomi delle vie che da lì si diramano in tutte le direzioni. La temperatura è quella dell’interno di una pentola a pressione, perciò presto cominciamo ad avanzare a piccoli tratti, rifugiandoci di volta in volta sotto microscopici appezzamenti d’ombra o di fronte ai cancelli, dove riusciamo a cogliere qualche brezza, forse residuo dei condizionatori degli uffici.

È solo al terzo giro, quando ormai presentiamo i sintomi di una grave disidratazione che ci rassegniamo all’idea che piazza Cavour non si trova alla fine di via Cavour e, grazie ad una telefonata a mio padre, abbiamo conferma dei nostri peggiori timori.

Chiedendo ai pochi passanti rimasti in strada nonostante la canicola, apprendiamo che la fermata della Metro più vicina è “Lepanto”, della quale non avevamo mai sentito parlare prima. Per raggiungerla ci sarebbe un autobus, ma la fermata non ha ripari e rischiamo di essiccarci, perciò qualcuno di noi tre (a questo punto i ricordi si fanno confusi) ha la malsana idea di procedere a piedi. La traversata dura molto più di quanto sperato e al secondo incrocio vediamo l’autobus, che credevamo di dover aspettare delle ore (Atac è sempre una garanzia), sfrecciarci davanti.

Ormai non abbiamo più le forze di rincorrerlo fino alla prossima fermata; novelli tuareg, tutto ciò che vogliamo è raggiungere l’unica fonte d’acqua in vista, una fontanella a qualche metro, ma ahimè giunti a destinazione scopriamo di aver inseguito un miraggio: la fontanella non funziona e non scorre nemmeno una goccia d’acqua.

Immagine correlataVorremmo piangere, ma ciò significherebbe sacrificare gli ultimi liquidi che abbiamo a disposizione, perciò ci rassegniamo e riusciamo finalmente a raggiungere la fermata della metro. Nonostante il nostro stato pietoso azzecchiamo la direzione e torniamo a casa per abbeverarci e riprendere confidenza con temperature umane. È allora che scopriamo che la direzione giusta per arrivare a qualunque, e dico qualunque mezzo pubblico per tornare direttamente a casa era quella opposta.

Appurato ciò capiamo due cose: la prima è che siamo degli imbranati totali, la seconda è che tutto sommato siamo fatti per essere amici, perché il nostro essere imbranati insieme ci ha divertito un mondo.

Non lo sappiamo ancora, ma a quindici anni abbiamo già la prima di una lunga serie di storie da raccontare.

Per la gioia dei bambini, che mi hanno assillato per il resto della settimana per sentirne altre.

 

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