“Rettilofono in Metrò”

Eccoci qui, di nuovo, sempre io – il biologo – e sempre con la storia del biacco. Eravamo rimasti alla mia geniale idea di portarlo sulla metropolitana di Roma fino all’università.

 

Zaino in spalla e mi avvio verso Rebibbia, la metro passa subito e non è neanche troppo piena.

Fantastico!

Miracolo!

Mi metto seduto poggiandomi come al solito lo zaino davanti in mezzo alle gambe, e, sicuro che ormai il peggio fosse passato, mi concedo un attimo per chiudere gli occhi e distendere un attimo i nervi. Sono sfinito. Almeno la mano piena di morsi non sanguina più tanto. Neanche mi preoccupavo dell’aspetto bestiale che potessi avere. Volevo solo chiudere gli occhi per 5 minuti, tanto fino a Marconi è lunga.

Ora dovete sapere che di norma un serpente messo al buio in un sacco, si calma e resta immobile, è un loro meccanismo naturale, conosciuto da tutti in tutto il mondo. Bene.

Mentre sento la mia mente che si rilassa un movimento vicino le mie gambe mi rimette in allerta. Apro gli occhi appena in tempo per vedere lo sguardo atterrito sul volto della signora che ho seduta davanti. Fissa il mio zaino. Il mio zaino sta ballando e saltando come fosse sotto un incantesimo.

 

Quel serpente ha cominciato a muoversi e a frustare di nuovo. Ma come diavolo è possibile? Ce l’avrà ancora con me per averlo catturato nel bel mezzo dell’accoppiamento??? Voglio dire… a nessuno piace essere interrotti proprio nel momento clou, specialmente a un biacco!

 

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Graphic by: Gioia

CAMBIO PROSPETTIVA

Piccolo excursus: è che spesso mi sono chiesto come sarebbe stata la scena dal punto di vista del serpente che ho catturato. Cioè immaginate di aver aspettato un anno per trovare il giusto giorno e il giusto posto dove corteggiare e accoppiarsi con una splendida femmina, e aver cominciato con i delicatissimi preliminari, che li se sbagli una virgola non si torna indietro. Niente “ no dai scherzavo non lo faccio più!” Niente “Ok meno lingua ricevuto”. Se sbagli qualcosa li rimani in bianco. Forse per un anno intero! Bene immaginiamo la scena dal suo punto di vista, quando quest’idillio d’amore viene bruscamente interrotto da una creatura enorme e goffa che spunta dalle fratte urlante…
Ora capisco perché mi mordeva sempre…

FINE CAMBIO PROSPETTIVA

 

Con uno scatto afferro lo zaino indemoniato stringendolo tra le gambe, cercando di immobilizzare alla bene e meglio il povero e combattivo biacco al suo interno, mostrando la migliore faccia di finta nonchalance che abbia mai fatto. Poso anche il gomito sull’asta laterale accanto al sedile perché fa più rilassato e guardo la signora. Ha la bocca aperta, stringe la sua borsa come fosse uno scudo e continua atterrita a fissare il mio zaino. Faccio il vago, e le abbozzo un sorriso. Lei mi fissa spalancando gli occhi. Le porte si aprono. Siamo a Quintiliani, la signora fa uno scatto e scende dalla metro.

Comincio a ridere. Nessuno scende mai a Quintiliani.

La corsa in metro da quel momento fu abbastanza tranquilla, e riuscii ad arrivare sano e salvo insieme al serpente in facoltà, dove mi aspettavo di venire acclamato come l’eroe dell’anno, lo studente che ce l’aveva fatta.

Ottenni un “Vabbè non è poi tanto grosso” dal professore quando gli mostrai il serpente e un’occhiataccia da una segretaria che mi incontrò in ascensore con il sacco che si muoveva in mano. Ma non mi importava. Sistemai il serpente nel terrario. Era bellissimo. Sorrisi.

Nei mesi successivi feci tutti gli esperimenti, e andarono bene. Lui continuò a mordermi fino all’ultimo giorno ogni volta che lo prendevo. Fu fantastico però. Riuscii a finire tutto.  E oltre alla laurea ottenni questa bizzarra storia da raccontare.
Una delle tante…

 

Ah, volete sapere che fine ha fatto il serpente?

L’ho riportato a casa sua.

Fermo dietro un grosso cespuglio di rovi lentamente tiro fuori dal mio zaino un sacchetto bianco di tela abbastanza puzzolente e lo apro con cautela, rivolgendone l’apertura verso una macchietta di bosco. “Vai…”sussurro, “sei libero”. Il serpente espone titubante la testa nel ritrovato ambiente esterno, poi senza degnarmi di uno sguardo scatta verso il verde e in una trentina di secondi non lo vedo più.
 Andato.
Guardo il cielo grigio e…comincia a piovere.

 

“Un classico di ogni addio”.

 

Ossequi.

 

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