Un giorno sono rimasta una ventina di minuti a fissare una lucertola. Se ne stava sotto un muretto, spalmata al sole, immobile. Le persone le passavano anche piuttosto vicine, ma lei niente. Non ho idea se le lucertole abbiano dei pensieri, dovrei chiederlo al nostro caro Francesco, ma se ne hanno in quel momento scommetto che erano molto felici.
Anche io vorrei starmene beatamente al sole un giorno intero senza neanche accorgermi del resto del mondo che continua a girare, semplicemente immobile e beata. Possibilmente senza diventare rossa come un peperone arrostito e senza farmi venire un’insolazione. I miei pensieri dopo una ventina di minuti di sole cocente diretto sono confusi e a puntini.
Perciò quando vado al mare nelle ore davvero calde, la maggior parte del tempo mi bagno, resto sotto il mio amatissimo sole il tempo di asciugarmi e poi mi metto sotto l’ombrellone come i bambini e gli anziani, a leggere. O a fare cruciverba.
Sono bravissima coi cruciverba. Tranne nelle domande di geografia. Lunga storia.
D’estate esistono due categorie di lettori: quelli che si sono accumulati i romanzoni da mille pagine sperando che almeno in vacanza il lavoro, i figli, la vita, lasci loro abbastanza spazio per godersi finalmente l’ambito riposo e la lunga lettura. E chi predilige storie leggere, definite “da ombrellone”, tipo gli Harmony, i Liala, e altri libri scritti in serie così lunghe da far venire il sospetto che il nome sulla copertina non sia altro che uno pseudonimo collettivo di un gruppo di ghostwriters[1]. Non che gli scrittori più famosi sia esenti da questo trucchetto, anzi! Follett e King ne usano a iosa, altrimenti come farebbero a sfornare romanzo di mille pagine ogni sei mesi..
Voglio dire facciamoci due conti.
Io per scrivere un copione di circa diciassette pagine ci metto almeno una settimana. E sono piuttosto allenata. Moltiplichiamo per N, sapendo che nel romanzo, a differenza del copione, devi scrivere TUTTO, anche i caratteri dei personaggi, ogni azione (non in didascalia ma proprio bella narrata in tutta la sua lunghezza), ogni descrizione di luoghi e paesaggi. E che poi tutto questo malloppo deve passare al correttore di bozze, e poi all’editor, e di nuovo allo scrittore, e di nuovo all’editor, all’agente letterario, all’editore. Bisogna fare la copertina. La campagna pubblicitaria. E solo allora, si può vedere sugli scaffali…. Non so, due capolavori di 1000 pagine in 12 mesi mi sembrano davvero esagerati per una sola mente. Forse a differenza mia e degli altri disgraziati che non guadagnano dalle vendite dei propri scritto, loro fanno solo quello e quindi possono spendere 8 ore al giorno nella stesura del romanzo, e non 20 minuti rubati agli altri lavori…
Non lo so, ammetto che sono scettica. Ma visto che il risultato mi piace, che a scriverli sia davvero chi li firma o qualcuno che resta nell’ombra poco importa.
Be, poca importa a me che lo leggo. Probabilmente al ghostwriter di turno importa.
Chiediamolo a Vani, la protagonista di una serie di libri[2] basati proprio su questo misterioso e oscuro mestieri!
“«Così lei è la famosa signorina Sarca a cui io devo tutto», commenta il professore con tono eccessivamente scherzoso. Registro «signorina» al posto di «dottoressa». Potrei offendermi, se solo me ne fregasse qualcosa.[3]”
Vani è uscita dalla divertente penna (be, tastiera) di Alice Basso, milanese di nascita che si descrive così:
Alice Basso è nata nel 1979 a Milano e ora vive in un ridente borgo medievale fuori Torino. Lavora per diverse case editrici come redattrice, traduttrice, valutatrice di proposte editoriali. Nel tempo libero finge di avere ancora vent’anni canta e scrive canzoni per un paio di rock band. Suona il sassofono, ama disegnare, cucina male, guida ancora peggio e di sport nemmeno a parlarne.
Li avrà scritti davvero lei? Ora sorge il dubbio. Be, credo di sì. Perché lo stile spumeggiante e i tempi lunghi fra le uscite dei vari romanzi, fanno pensare che sia davvero frutto di un’unica mente.
Un gesto, una parola, un’espressione del viso. A Vani bastano piccoli particolari per capire una persona, per abbracciarne il modo di pensare. Una dote speciale di cui farebbe volentieri a meno. Ma che la aiuta nel suo mestiere: la ghostwriter per l’appunto.
“Dio, se mi fa schifo il Natale. E dire che la letteratura è piena di gente che ne va pazza. Bob Cratchit, la Piccola Fiammiferaia, quelle quattro sciacquette delle sorelle March. Quando si dice “vorrei che fossero persone in carne e ossa”. Così potrei prenderle a calci. [4]”
Nei vari episodi la vediamo fingersi un famoso scrittore in crisi, una cuoca in pensione, un altro ghostwriter… imitando e perfezionando il loro stile di scrittura.
Già questo mi sarebbe bastato per convincermi a conoscerla, ma la Basso ha voluto condire i romanzi con un tocco di giallo Q.b. e così oltre ad adolescenti in piena tempesta ormonale, scrittori ed editori vanitosi, troviamo anche dei succulenti casi da risolvere, perché secondo il commissario con le sue doti di forte empatia, Vani è perfetta per entrare nelle menti dei criminali.
Mescolare un personaggio un po’ alla Bridget Jones con il crime va parecchio di moda ultimamente e non certo la novità del secolo, però devo ammettere che funziona e allora perché no…
Specialmente sotto l’ombrellone nelle ore afose, una lettura del genere è proprio quello che ci vuole. Se poi lo stabilimento balneare ci mette del suo passando il rock classico di Virgin Radio, siamo a cavallo!!!!
Ghiacciolo, parasole, e un linguaggio da blog, colloquiale, vicino, rilassante.

“Davanti alla Donna Che Non Riesce A Capire, ossia seduta trenta centimetri alla mia sinistra ma tecnicamente a un altro tavolino (e quindi appunto, secondo la perversa logica dei bar, praticamente in un altro universo dal quale io dovrei fingere di non percepire alcun suono), sta l’amica rispondente al nome di Lisa. Ha gli occhiali. Per l’esattezza, ha quegli occhiali sovradimensionati da ingegnere degli anni Settanta che le ragazze amano portare quando vogliono raccontarsi che se i ragazzi non le trovano attraenti è perché portano gli occhiali. Gli occhiali che la piccola Harriet del classico Professione? Spia! indossava senza lenti per sentirsi più intellettuale, per dire. Lisa invece ce le ha, le lenti. Eccome, se ce le ha.[5]”
Oddio quanto mi manca l’estate!!! E Vani, spero di rincontrarla presto in un nuovo avvincente capitolo….
[1] I ghostwriter sono una categoria professionale invisibile per mandato. Da una ventina d’anni – da quando, cioè, i libri di celebrities incominciarono a vendere tanto e prima che, youtuber a parte, le vendite calassero – la loro importanza in editoria è cresciuta, senza che a questa crescita si sia tradotto in un maggior riconoscimento. Eppure il loro lavoro ha creato un genere editoriale nuovo e paradossale, che meriterebbe di essere considerato a sé: quello dell’autobiografia altrui o, se preferite, della biografia in prima persona. La percentuale di libri di persone famose non scritti da chi li firma è quasi del 100 per cento.
[2] Per il momento trovate in libreria: L’imprevedibile piano della scrittrice senza nome. Scrivere è un mestiere pericoloso. Non ditelo allo scrittore.
[3] L’imprevedibile piano della scrittrice senza nome.
[4] Scrivere è un mestiere pericoloso.
[5] Non ditelo allo scrittore.
QUESTO ARTICOLO NON VERRA’ TRADOTTO
Ciao, certamente come hai detto anche tu alcuni scrittori riescono a vivere con questo lavoro, sono eccezioni lo so, però a quel punto non sarebbe impensabile immaginarli davvero intenti a scrivere per 8 ore al giorno. Credo che a quel ritmo sia plausbile che sfornino romanzi abbasatnza lunghi in poco tempo.
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L’ha ripubblicato su Thr0ugh The Mirr0re ha commentato:
I ghostwriter sono una categoria professionale invisibile per mandato. Da una ventina d’anni – da quando, cioè, i libri di celebrities incominciarono a vendere tanto e prima che, youtuber a parte, le vendite calassero – la loro importanza in editoria è cresciuta, senza che a questa crescita si sia tradotto in un maggior riconoscimento. Eppure il loro lavoro ha creato un genere editoriale nuovo e paradossale, che meriterebbe di essere considerato a sé: quello dell’autobiografia altrui o, se preferite, della biografia in prima persona. La percentuale di libri di persone famose non scritti da chi li firma è quasi del 100 per cento.
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