Dunque, dove ero rimasto? Ah già, camposcuola del terzo liceo a Berlino: a causa di un cocktail di cibo spazzatura, deprivazione del sonno e un’ignota bevanda di origine chimica chiamata Mezzo Mix, la mia classe di aitanti sedicenni si era trasformata in un’orda di Zombi, costretta a seguire, o meglio a inseguire un professore di Latino, che nonostante sospettassimo fosse madre lingua, riusciva a trottare come un puledro tra le vie della città teutonica, che giravamo rigorosamente a piedi. La penultima sera arrivai in stanza così esausto da avere una sorta di esperienza premorte, che mi spedì in uno stato comatoso tale da non accorgermi del party che veniva dato intorno a me.
Contrariato dall’aver perso quella che doveva essere stata una serata grandiosa, mi misi d’accordo con “Fabio Volo” (pseudonimo a fini di privacy) per recuperare alla grande: la sera dopo, l’ultima a Berlino, avremmo fatto nottata. Zero sonno! Vida loca… o almeno ci provammo. Quella sera erano tutti esausti e la serata partì piuttosto fiacca; il momento più interessante fu quando entrarono due ubriachi dalla stanza accanto e, dopo aver tentato di pomiciare sul mio letto, scoppiarono a piangere e a dire a ciascuno di noi quanto ci volessero bene. Tentammo di far rinsavire almeno uno dei due offrendogli un pacco di crackers, ma dopo aver provato ad azzannarlo ancora chiuso, decise di lanciarlo dal balcone (fortunatamente dava su un cortile interno).
Dopo quell’episodio il declino della serata fu verticale: ci ritrovammo seduti in circolo a raccontare storie come un mucchio di Apache in una riserva, finché non crollarono tutti tranne me e Volo, due inossidabili idioti in una stanza piena di persone che dormivano.
Dato che la quota idiozia per quella sera non era ancora raggiunta, decidemmo di uscire dall’albergo, in cerca di un Dunkin’ Donuts dove mangiare la nostra ultima ciambella berlinese. Scoprimmo però che i fast food sono chiusi alle 5 del mattino e che Berlino di giovedì notte è affollata come la fermata metro Quintiliani. Altro che movida o vida loca, in giro c’eravamo solo noi due fessi e un ubriaco, che comunque non era a casa solo perché probabilmente non ricordava più dove fosse. Rassegnati, tornammo in stanza e decidemmo di proseguire imperterriti, occupando le due ore che ci separavano dalla sveglia collettiva con una conversazione surreal-filosofica, di cui non ho alcun ricordo, se non del fatto che era completamente priva di senso.
Della giornata successiva ho solo vari flash: uno in cui sono su un tram, diretto verso un posto importante, ma di cui non ricordo il nome; un altro in cui sono su una panchina di fronte al suddetto posto importante; un altro ancora in cui sono seduto insieme al resto della classe sul pavimento del posto importante, invitato a farlo dalla guida in modo da ammirare meglio il meraviglioso soffitto (credo ci fosse una affresco, ma non ci giurerei), e sento Francesco e il Biz mettersi d’accordo di non sedersi perché in tal caso non si alzerebbero più.
L’epilogo della giornata invece lo ricordo meglio: ormai stanchi dei Fast Food e nostalgici di un buon piatto di pasta, riuscimmo a riparare in un ristorante italiano. Eravamo il gruppo al completo, in un tavolo da sei, ma visto che al di sopra delle Alpi il cibo italiano è considerato romantico, sul tavolo erano accese due candele, per creare atmosfera.
Viste le nostre espressioni catatoniche l’unica atmosfera che creavano era quella di una vegli funebre, ma fa lo stesso. Io e Volo, dopo la nottata più inutile della storia, ci trovavamo uno di fronte all’altro, attoniti a fissare la fiammella, accanto a me c’erano le ragazze, ancora in possesso della loro dignità nonostante il sonno e di fronte a loro Francesco e Daniele, immobili. Il tempo di ordinare e sentii la testa farsi pesante, motivo per cui cominciai a inclinarla sempre di più verso il tavolo… o meglio, verso la candela!
Il primo ad accorgersi che qualcosa non andava fu il Biz, che però rimase attonito a fissare i miei capelli, allora una zazzera riccioluta e spettinata. Capiva che qualcosa non quadrava, ma non sapeva cosa. Il suo sguardo incuriosì Francesco, che per primo notò una fiammella che cresceva a vista d’occhio tra i miei capelli. La cosa lo allarmò, ma la vista gli aveva già fatto strani scherzi quella mattina, infatti ancora oggi giura di aver osservato per qualche minuto un lampadario nel posto importante che avevamo visitato (nessuno di noi ricorda cosa diamine fosse) e che quando ha spostato lo sguardo, l’immagine del lampadario si sia spostata con lui, come facevano le vecchie pagine internet con il cursore quando andavano in crash.
L’odore di maiale bruciato però sembrò abbastanza convincente e lo spinse a dare una gomitata a Volo, che una volta svegliato, mi informò con il tono di una nonnina che annuncia l’arrivo della merenda: “Lucaaa…” “Eh?” “I capelli…” “Che?” “Vanno a fuoco…”.
Alzai gli occhi ed improvvisamente ero Ade nel cartone di Hercules nella Disney! Spensi l’incendio dandomi un mucchio di sberle sulla testa, tra lo stupore del cameriere, che arrivava in quel momento con il nostro surrogato di Carbonara.
Tornai a casa con un vistoso buco tra i miei riccioli selvaggi e una certa avversione per le candele. Quanto ai miei amici, be’… come ho già detto all’inizio dell’episodio precedente, su di loro si può sempre contare! Io avrei voluto che la cosa restasse fra noi.
Lo raccontarono a tutta la classe.
E alle altre classi.
E praticamente a chiunque conoscessero!
E ora lo hai raccontato anche a me. Bravo come sempre.
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bravissimo era come essere lì, molto divertente
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L’ha ripubblicato su Thr0ugh The Mirr0re ha commentato:
Dunque, dove ero rimasto? Ah già, camposcuola del terzo liceo a Berlino: a causa di un cocktail di cibo spazzatura, deprivazione del sonno e un’ignota bevanda di origine chimica chiamata Mezzo Mix, la mia classe di aitanti sedicenni si era trasformata in un’orda di Zombi, costretta a seguire, o meglio a inseguire un professore di Latino, che nonostante sospettassimo fosse madre lingua, riusciva a trottare come un puledro tra le vie della città teutonica, che giravamo rigorosamente a piedi. La penultima sera arrivai in stanza così esausto da avere una sorta di esperienza premorte, che mi spedì in uno stato comatoso tale da non accorgermi del party che veniva dato intorno a me.
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