A differenza di altre serie che ho guardato tutto d’un fiato, Homeland l’ho scaglionata nei vari lunghi, freddi, bui inverni, con un massimo di tre episodi alla settimana, perché le tematiche trattate sono ancora un punto debole per me, troppo doloroso il confronto con la realtà.
A chi ci si può dare credito, ci si interroga in Homeland. All’eroe di guerra creduto morto in Iraq, rinvenuto e scarcerato dopo anni di prigionia, che forse è diventato, nel frattempo, una spia di Al Qaeda? O dell’unica agente della Cia che sospetta la minaccia, ma che, nello stesso tempo, eccede nell’uso di farmaci e sembra avere qualche rotella fuori posto?
Secondo voi, avendo letto un po’ dei miei articoli, cosa mi ha attirato di “Homeland”? La “caccia alla spia”? come in Italia[1]hanno tradotto il titolo? Perché sono sempre stata affascinata dalla CIA? Per un’insana voglia di guardare anche nella fiction quello che purtroppo già scopriamo dai telegiornali? – e cioè che i terroristi sono i nostri vicini di casa, persone che incontriamo ogni giorno.
No. O meglio, sono tutti punti a favore, ma a farmi iniziare questa serie tv è stato aver saputo…
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