Avevo nove anni la prima volta che ho letto l’Odissea. Una versione molto epurata, ovviamente, molto illustrata e molto più corta. Però già allora io e Odisseo ci imbarcammo insieme sulla nave verso Itaca, e incontrammo sirene e maghe, e ciclopi e re, in un’avventura che mi faceva volare con la fantasia.
«Ahimè, sempre gli uomini accusano gli dei: dicono che da noi provengono le sventure, mentre è per i loro errori che patiscono e soffrono oltre misura.»[1]
Quanto è vero, caro Zeus, quante volte delle disgrazie diamo colpa alle divinità. Però devo dire che con Ulisse ti sei proprio accanito e non puoi negarlo! La sua incontentabile sete di conoscenza, l’astuzia e il coraggio, uniti all’amore per la terra natia, mi hanno sempre fatto tifare per il nostro Eroe omerico. La propensione al tradimento, l’atteggiamento da so-tutto-io, invece mi portavano a sperare che lo fulminassi una volta per tutte.
Ma ai tempi dell’Odissea ancora non si usava far morire il personaggio principale e quindi isola dopo isola, peripezia dopo peripezia, il nostro eroe viaggiatore affronta quello che agli studenti sembra un percorso interminabile[2] e che per me è stato uno dei primi amori.
Avevo nove anni la prima volta che…
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